Quattro stracci



Aveva il sole basso all'orizzonte direttamente negli occhi, quindi non riusciva a vedere bene il suo viso. Ma la conosceva abbastanza da sapere che stava sorridendo. Schiena dritta, le cosce muscolose strette sul dorso del piccolo castrato bianco e grigio, i lunghi ricci neri che ricadevano sulle spalle, a coprire parzialmente i seni nudi. Agata sorrideva, in segno di sfida.
- Fino alla croce! -
E in un attimo aveva girato le redini e si era lanciata al galoppo lungo il sentiero che risaliva la collina. Lui spronò il suo cavallo e le andò dietro.
- Lo sai che sono più veloce! - gli urlò dietro.
Il murgese nero gli diede ragione, in qualche secondo era già a pochi metri dal sedere del castrato, tanto vicino da sentire il profumo dolce del suo balsamo mischiato all'odore di stalla, polvere e timo. Il sentiero saliva sul fianco dentro un piccolo bosco di pioppi, troppo stretto per affiancarla. E lei non aveva nessuna intenzione di lasciarlo passare. Rideva, mentre a tutta velocità si lasciava dietro gli ultimi alberi.
- Vediamo che sai fare, fifone! -
Girò il cavallo sulla destra, lasciando il sentiero e puntando in sù, dritta al crinale. Lui proseguì sul sentiero, il nero ormai libero di sprigionare tutta la sua forza. La sentiva ancora ridere mentre si arrampicava verso il traguardo. Ma ora il canto dei grilli si faceva più forte. Ritmico e fastidioso, sovrastava sia lei che gli zoccoli del cavallo..




Lo squillo del telefono lo sorprese addormentato sul divano. Una mezza bottiglia di pessimo scotch appoggiata a terra fu la prima cosa che vide, a ricordargli perché aveva dormito lì anche quella notte. Come se non bastassero la nausea e le tempie martellanti. Si accese una sigaretta e prese la cornetta in mano.
- Chi cazzo è? -
- Giuliani. Devi venire subito. -
- Che ore sono? -
- Le quattro e dieci. -
- E che vuoi a quest'ora? Non puoi aspettare domattina? -
- Augusto, alza il culo! E' qui. Lo abbiamo trovato. -
Scattò seduto sul divano, mise giù senza dire altro.
Lo avevano preso. Dopo più di un anno quel maledetto figlio di puttana era ricomparso.
Si alzò e uscì di corsa. La vecchia Alfa lo aspettava di sotto parcheggiata male, un finestrino abbassato, le chiavi ancora attaccate. Aveva piovuto, e il suo sedile era fradicio. L'ottimo inizio di un'altra qualunque giornata di merda. Ma questa volta non gli importava. Lui era lì, ad aspettare la sua furia. Tutto il resto non contava.




Via Venezia era vuota. Faceva freddo, per essere metà settembre. Girò a sinistra sul parco lasciando la macchina di traverso sull'erba.
Entrò in commissariato facendo sbattere tutte e due le ante.
- Dove sta? -
- Ispettore Eramo, tutto bene? -
- Vaffanculo! Dimmi dove sta quel bastardo!! -
Il commissario Marco Giuliani arrivò di corsa, allontanandolo dalla scrivania del povero ragazzo all'ingresso.
- Stai calmo, Augusto. E' nel mio ufficio. Cristo santo, quanto puzzi! Sei un'altra volta ubriaco? -
- Vaffanculo pure tu!! -
- Datti una ripulita. Prendi un caffé, cambiati quella camicia e poi vieni. Adesso non va da nessuna parte. -
- Che ti ha detto? Dove..? -
- Niente. Ho aspettato te per parlargli. Lo hanno trovato in una casa di campagna, in Abruzzo. Un banale bisticcio tra vicini, i suoi cani hanno ucciso un paio di galline. Gli agenti di pattuglia appena hanno visto il nome sul documento lo hanno messo sull'ultimo treno e scortato qui. -
Lo aveva cercato ovunque, per quattordici maledetti mesi. E lo stronzo se ne stava a giocare all'eremita tra gli Appennini. 



Una piccolo mucchietto di vestiti sporchi di terra stava ai piedi della scrivania, in una busta di plastica trasparente. Lui era seduto spalle alla porta, con addosso una polo della Polizia di Stato e un pantalone blu di una tuta. Non si girò nemmeno a guardarlo.
- Ciao Augusto. - disse - Mi piacerebbe dirti che sono felice di rivederti. Che ci faccio qui? -
- Lo sai benissimo. E' per Agata. -
Costantino fece ruotare lentamente la sedia. Dopo più di un anno gli puntò addosso lo stesso sguardo sfacciato, quegli inquietanti occhi di ghiaccio che ora lo fissavano, e sembravano scrutarlo fin dentro al cervello.
- Agata. - disse in un sussurro - Alla fine te lo ha detto. -
- Dimmi dov'è! - ringhiò.
Nei suoi occhi un lampo di sorpresa. Poi tornarono subito fermi e inquisitori.
- Che c'è, ancora non sai cosa fa tua moglie quando sei distratto? -
Il pugno lo prese in pieno viso, senza dargli nemmeno il tempo di finire la frase.
- Fermati, dannazione! - Giuliani lo spinse via.
Lo fissava ancora, mostrando i denti insanguinati in un ghigno. Sputò a terra e si pulì con la manica della polo.
- Finalmente. - disse - Ti senti meglio adesso? -
- Dimmi dov'è!! Era con te quella notte, questo lo so. E la mattina dopo sei scappato, vigliacco! -
- Scappato? E perché mai sarei dovuto scappare? -
- Perché l'hai uccisa! Dillo! -
Lo stronzo scattò in piedi, fermandosi a pochi centimetri dal naso dell'ispettore. Quegli occhi ancora a guardare fin dentro la sua rabbia, mentre respiravano ognuno il fiato dell'altro mescolando l'odore di alcool, tabacco e sangue.
- Io non l'avrei mai toccata, idiota! Dov'è lei? Che le è successo?? - disse, la voce rotta dall'odio che ora gli montava dentro.
- Stai seduto, cazzo! - gli urlò Giuliani. - Datevi una calmata tutti e due. -
Chiuse finalmente gli occhi. Face un respiro e tornò a sedersi sulla sedia. Nascose il viso tra le mani, iniziò a singhiozzare. Ma bravo! Recitava bene, il balordo. I due poliziotti rimasero in silenzio a guardarlo. Era piuttosto grosso, tanti capelli quanto lui era pelato, ancora lunghi e raccolti in quel ridicolo codino. Ma molto più bianchi. Come la barba. Incolta, sciatta. Era stato sconvolgente scoprire che la sua Agata lo aveva tradito con uno così. Un buono a nulla, uno sfaticato, un fregnone. Che adesso se ne stava rannicchiato su una sedia a mettere in scena questo ridicolo siparietto.
- E'.. morta? - sibilò infine, senza guardarli.
- Agata Iezzi è sparita il 15 luglio 2017 - rispose il commissario Giuliani - Da allora nessuna notizia. Per quanto ne sappiamo lei è stato l'ultimo a vederla. -
- Dimmi che cosa le hai fatto, pezzo di merda!! -
Il bastardo alzò lo sguardo e riprese a fissarlo. Solo che stavolta gli occhi azzurri erano arrossati, vuoti e inespressivi. La bocca ancora sporca di sangue aveva smesso di ghignare
- Augusto - riprese a voce bassa - Per quanto ti sia difficile crederlo, io amavo Agata. Forse più di quanto non l'abbia mai fatto tu. Si, è vero. L'ho vista quella sera. Venne lei da me. Era di corsa ed agitatissima. Mi disse che non voleva più vedermi. Non l'avevo mai vista così.. spaventata. C'era qualcosa nei suoi occhi, un'urgenza, un'ansia. Qualcosa che non riuscivo a capire. Gli chiesi se fosse per colpa tua, se avessi ricominciato a picchiarla. Mi diede un ceffone, non immagini quanto forte. Iniziò ad urlare. Mi disse che io non sapevo un cazzo di Augusto Eramo, che non mi dovevo immischiare nel vostro matrimonio. Che era stato tutto un errore, che io non ero niente, che non ero mai stato niente. Mi ricoprì di insulti, mi disse di sparire dalla sua vita. E andò via, sbattendo la porta, senza darmi il tempo di ribattere. Di capire.. -
Si fermò. Gli occhi bassi sul pavimento. Fece girare un paio di volte un anello che aveva infilato al mignolo della mano sinistra.
- Perché è andato via? - chiese il commissario - Perché non è venuto a dirci quello che era successo? -
- Perché restare? Non avevo più nulla da fare qui. L'unica ragione che mi teneva legato a questo posto era lei, e lei mi aveva cacciato. Distrutto. Ho preso le mie cose, ho caricato la macchina e sono tornato a casa, il giorno dopo.
- A fare cosa? -
- A ricominciare. Ho messo un po' di ordine, sono tornato nella vecchia casa di mio nonno. Lavoro dove capita, piccole cose. Ho anche un orticello con pomodori e peperoncini -
- Mi stai prendendo per il culo? -
Non si sarebbe bevuto quel mucchio di stronzate! Agata era sparita, subito dopo averlo incontrato. E lui se ne era andato subito dopo. Era stato lui! Doveva essere lui!
- Marco, non crederai a questo stronzo? -
- Vieni fuori, subito. -



Seguì il commissario nel corridoio, sbattendo la porta.
- Marco, quel pezzo..
- Zitto, Augusto. - lo fermò - Smettila. -
- Ma lo sai che è stato lui! E' sparito all'improvviso, cazzo!! Come cazzo ha fatto a restare nascosto tutto questo tempo?? Lo abbiamo cercato ovunque, tutti lo cercavano! -
- Nei posti sbagliati. Augusto, gli agenti del commissariato di Avezzano hanno perquisito casa sua, da cima a fondo. Niente. E' pulito. I pochi vicini confermano tutto. Fa piccoli lavori in nero, non ha conti correnti né carte, nessuna bolletta a suo nome, nessuna attività in rete. E in questi mesi non ha avuto guai con la legge, non lo hanno nemmeno mai fermato ad un posto di blocco. Nessuno gli ha mai chiesto un documento. Semplicemente, nessuno sapeva che era lì. Fino a ieri. Ma non ha nemmeno fatto nulla per nascondersi. -
- Ma.. -
- Basta! - lo zittì, l'indice puntato sul suo petto - Questa storia ti ha consumato. Gli hai pure dato un pugno! Dovevamo interrogarlo, Cristo, non mandarlo all'ospedale! Spera solo che non voglia denunciarti! -
- Ma non è possibile. Io.. io.. -
Il commissario sospirò.
- Augusto, volevi risposte. Tanto che hai voluto credere che fosse lui. Ma forse non è così. Deve essere incredibilmente stupido o completamente pazzo, per tornare a vivere dove è nato dopo aver fatto quello che credi. Ti giuro che lo terremo d'occhio, ma per ora non possiamo trattenerlo. Non abbiamo niente. Non uno straccio di prova. -
Gli mancavano le forze. Sentì montare la sbornia e la stanchezza, gli tremavano le gambe e il mal di testa che lo accompagnava ormai ogni giorno si fece più forte.
- E adesso? - chiese.
- E adesso lo mandiamo a casa. - rispose Giuliani - E ricominciamo a cercare. La troveremo, la tua Agata. Te lo prometto. -
Tornò dentro lasciandolo lì, la vista annebbiata.
- Vada via - lo sentì dire - Prenda quei suoi quattro stracci e se ne vada. -
Passandogli vicino, l'animale gli posò una mano sulla spalla.
- Augusto, io non.. -
- Non mi toccare! - lo scansò, guardando ancora una volta dentro i suoi occhi. - Non ho finito con te. Non ho nemmeno lontanamente finito. -
Di nuovo quel lampo, quella sfida, sulla sue iridi blu. Solo un attimo. Poi il bastardo girò la testa e andò via.
Mentre lo guardava uscire lo assalì la nausea. Si era sbagliato? Era stato tutto inutile, quindi? Non riusciva a crederlo. Non poteva essere vero. Aveva passato ogni giorno, ogni ora, per più di un anno, a ricostruire gli ultimi giorni di Agata. E lui era l'unico nome che era saltato fuori. No, era sicuro! Tutto portava a lui. Doveva essere lui.
E adesso sapeva dov'era.
Fu l'unico pensiero che gli diede un poco di sollievo, mentre il sole sorgeva su un nuovo giorno senza di lei.
Un altro senza Agata.



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Lo spunto per "Quattro stracci" viene da una improvvisa quanto futile visita della Digos a casa mia.
Era comparsa una scritta, "Carlo vive", sul muro esterno. E gli zelanti agenti in borghese hanno ritenuto andasse immediatamente cancellata, data la chiara "incitazione all'odio" che nascondeva.
A nulla è servito ribattere che la mia città è piena di scritte che incitano al Duce, svastiche, bestemmie, che da anni decorano indisturbate i muri, persino delle scuole. E che non mi sembrava fossero arrivate pressioni ai proprietari dei suddetti muri, per rimuovere quello che altri avevano scritto.
Appena quattro giorni dopo la sua comparsa, l'odioso epiteto era stato prontamente cancellato.
Tutti gli altri, chiaramente, ancora fanno parte dell'arredo urbano.
Ho dunque voluto semplicemente immaginare un motivo migliore per essere disturbato da forze di polizia.

L'occasione, invece, era tornare a scrivere su un forum di amici maniaci del peperoncino, su cui non mettevo piede da circa un anno.



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Glenlivet Heritage 15. Liscio.



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